Quella della gratificazione differita è un’abilità poco conosciuta, molto sottovalutata, che merita invece una grande attenzione.

Da neonati e nella prima infanzia, agiamo secondo il cosiddetto principio di piacere: quello che spinge a pretendere una soddisfazione immediata dei propri desideri, senza alcuna fatica.

Il bambino piccolo che avverte un bisogno (mangiare, dormire, essere coccolato, etc.), piange, strilla, si agita se non viene istantaneamente accontentato. La sua mente non è ancora in grado di concepire l’attesa per vedere il bisogno soddisfatto.
Gradualmente, con la crescita, dovremmo però imparare che gli obiettivi desiderati non vengono raggiunti in modo magico o casuale, ma che bisogna faticare ed impegnarsi per conseguirli.

Il principio del piacere, che come detto spinge a pretendere una soddisfazione immediata dei propri desideri, dovrebbe lasciare il passo al principio di realtà, che insegna appunto a differire la gratificazione, ad attendere il momento e a costruire le condizioni perché il bisogno trovi una risposta.
Il raggiungimento di questa consapevolezza non è però scontato.
Sempre più spesso questo passaggio non avviene e continuiamo a vivere con l’idea del tutto e subito (e senza fatica), incapaci di tollerare la frustrazione quando questo non avviene.

L’esperimento di Walter Mischel

Una delle ricerche più famose, in merito alla gratificazione differita, è quella di Walter Mischel: psicologo all’Università di Stanford, nel 1972 condusse un piccolo e semplice esperimento su un gruppo di bambini.

I partecipanti, la cui età media era di 4 anni, venivano portati in una stanza, su un tavolo c’era un piatto con un marshmallow, una caramella gommosa molto gustosa. La persona che accompagnava il bambino nella stanza lo lasciava dicendo: ”Ora io esco e vado a fare una telefonata, se quando tornerò il marshmallow sarà ancora qui, se non l’avrai mangiato, ne potrai avere un altro”.

L’obiettivo di Mischel era proprio quello di studiare come la gratificazione differita avrebbe impattato sulla vita futura dei piccoli partecipanti.
Solo un terzo dei bimbi resistette alla tentazione di mangiare subito la caramella ed ebbe in premio un secondo dolcetto.

Quello che interessava maggiormente allo psicologo americano era però il risultato dei test di controllo che sono stati svolti anni dopo, risultati che furono sorprendenti!

Il primo test di controllo venne effettuato circa 15 anni dopo.  Furono somministrati ai genitori e agli insegnanti dei bambini dei questionari. Ai primi si chiedeva di valutare alcuni comportamenti ed atteggiamenti dei figli, confrontandoli con quelli di amici e compagni di scuola della stessa età; agli insegnanti invece si chiedeva di valutarne le abilità sociali e cognitive all’interno del contesto scolastico.

I bambini che avevano atteso per avere una seconda caramella, che avevano cioè differito la gratificazione, venivano descritti come degli adolescenti con maggiore autocontrollo nelle situazioni frustranti, meno inclini alle tentazioni e con maggiori capacità di concentrazione.
Mostravano inoltre un comportamento più maturo ed erano considerati più intelligenti e sicuri di sé; infine, quando si ponevano un obiettivo era più probabile che riuscissero a raggiungerlo.

Un ulteriore test di controllo venne fatto quando i ragazzi avevano raggiunto i 25-30 anni.
Coloro che avevano aspettato di più la gratificazione nel test avevano conseguito i traguardi accademici più alti, erano stati capaci di realizzare obiettivi a lungo termine, facevano un uso minore di droghe e avevano un indice di massa corporea più basso.
La caratteristica più importante rilevata nel campione in questione era la resilienza: avevano cioè una maggiore capacità di far fronte ad eventi negativi e di adattamento; avevano inoltre delle relazioni positive e soddisfacenti.

Le “tecniche di resistenza interiore” di Pietro Trabucchi

Un altro punto di riferimento nell’ambito degli studi sulla gratificazione differita è rappresentato dalle ricerche di Pietro Trabucchi: psicologo, docente all’Università di Verona, mental coach di molti ultra atleti e autore di diversi libri sulla resilienza.

Così come Mischel anche Trabucchi ritiene che la capacità di differire la gratificazione sia una componente fondamentale per sviluppare resilienza.

Ma lo psicologo lancia l’allarme: i giovani, le nuove generazioni, sono totalmente incapaci di tolleranza alla frustrazione, di sopportare cioè la delusione e il disagio che si prova quando un bisogno non viene soddisfatto. Ma, aggiunge Trabucchi, non per colpa loro.

La responsabilità principale è della società in cui sono nati e stanno crescendo.

Fino ad una ventina di anni fa infatti, la vita di tutti i giorni permetteva di ritrovarsi e sperimentare situazioni in cui si era costretti ad attendere per vedere un proprio bisogno o un proprio desiderio realizzato.
Per esempio si doveva attendere giorni o settimane per poter vedere le foto che si erano scattate, perché il rullino doveva essere sviluppato e le foto stampate.
Per ascoltare la propria canzone preferita bisognava aspettare che la passassero in radio.
Spesso per togliersi un dubbio o trovare una risposta, si doveva andare in biblioteca per fare delle ricerche.
Certi prodotti o certi cibi non erano reperibili nell’immediato…e così via.

Oggi viviamo nella società del benessere, dove tutto è a portata di mano e i bisogni vengono soddisfatti istantaneamente.
Non solo, è cambiata la soglia della fatica e del disagio che siamo disposti a sopportare. Oggi rispetto al passato ci aspettiamo di fare meno sforzo per raggiungere lo stesso obiettivo.

Così i giovani crescono protetti da qualsiasi frustrazione e senza sviluppare nessuno strumento che permetta loro di affrontare difficoltà e insuccessi. Quando alla fine entrano in contatto con la realtà, molto spesso attraverso l’ingresso nel mondo del lavoro, la delusione rispetto alle aspettative porta allo sviluppo di molti disturbi e problemi.

E allora cosa possiamo fare per allenare questa abilità?

Se le opportunità di allenarci con la gratificazione differita non ci vengono più offerte in maniera naturale dall’ambiente nel quale viviamo, allora siamo noi a doverci creare queste occasioni.

Non dico che dovremmo rinunciare al benessere e ai comfort, ma di certo evitare di sprofondare nell’accidia e nella pigrizia mentale.
Per esempio, potremmo evitare di precipitarci a guardare lo schermo ogni qual volta arriva una notifica. O al frigo tutte le volte che abbiamo voglia di qualcosa di buono. Se si tratta di un bisogno o di un desiderio che non è necessario soddisfare nell’immediato, cerchiamo di creare uno spazio tra lo stimolo e la risposta.

Insegniamo ai ragazzi la cultura della conquista, della fatica e dell’impegno. Non assecondiamo ogni loro bisogno, lasciamo che sperimentino il disagio e la delusione e che capiscano che alcuni obiettivi o sogni, quelli più importanti, si realizzano solo grazie all’impegno e alla perseveranza.